21 MARZO 2025
Per usufruire del nuovo regime degli impatriati entrato in vigore dal 2024, il requisito minimo di permanenza all’estero del cittadino rientrato in Italia si allunga da tre a sei anni se al rientro il cittadino tornerà a lavorare per una società (appartenente allo stesso gruppo per cui ha lavorato all’estero) con cui era stato impiegato qualche anno prima di trasferirsi. Gli anni di permanenza all’estero aumentano invece a sette se il lavoratore, immediatamente prima del suo trasferimento all’estero, era stato impiegato in favore della stessa società (o di una appartenente al suo stesso gruppo) con la quale ha lavorato anche all’estero e continuerà a lavorare una volta tornato in patria.
Il chiarimento arriva dalla risposta n. 41 del 20 febbraio fornita dall’Agenzia delle Entrate circa il caso di un cittadino italiano residente in Francia che dal 2015 al 2018, anni in cui era stato residente in Italia, aveva prestato attività di lavoro dipendente presso due diversi datori di lavoro. Per l’esattezza, nel biennio 2015-16 il cittadino era stato impiegato presso una società appartenente allo stesso gruppo per cui poi si sarebbe trasferito a lavorare in Francia nel 2018.
Quindi in buona sostanza il cittadino, che ha mantenuto la sua residenza all’estero dal 2018 al 2024, chiede se questi sei anni di permanenza possano bastare per usufruire al suo rientro del regime di favore sugli impatriati, che in base all’articolo 5 del Dlgs 209/2023 prevede un abbattimento del 50% del reddito imponibile entro il limite di 600.000 euro annui per i contribuenti che trasferiscono la loro residenza in Italia. Il contribuente si pone infatti il dubbio che ritornando a lavorare per la stessa società per cui aveva lavorato in Italia nel biennio 2015-16, il periodo di permanenza all’estero necessario per applicare il regime agevolativo possa essere di sette anni anziché di sei.
L’Agenzia nella sua risposta ricorda anzitutto che i lavoratori, per poter usufruire del regime, non devono essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d'imposta precedenti al loro rientro e che oltretutto devono impegnarsi a risiedere fiscalmente in Italia per almeno quattro anni. Se però il datore di lavoro che “ritrovano” in Italia è lo stesso per cui lavoravano all’estero, oppure appartiene allo stesso gruppo, il requisito minimo di permanenza all’estero diventa:
- di sei anni se il lavoratore non è stato impiegato in Italia, immediatamente prima del trasferimento, in favore della stessa società per cui ha lavorato all’estero oppure di una appartenente al suo stesso gruppo;
- di sette anni se il lavoratore, immediatamente prima di lasciare l’Italia, è stato invece impiegato in favore della stessa società, o di una appartenente al suo stesso gruppo, per cui ha lavorato all’estero.
Nel caso in esame, quindi, considerato che il cittadino al rientro in Italia nel 2025 lavorerà per la stessa società con cui aveva già lavorato in Italia fino al 2016, quindi non immediatamente prima del trasferimento all'estero, in base ai paletti temporali indicati dalla norma possono bastare, come durata minima di residenza all'estero, i sei anni (dal 2018 al 2024) che il contribuente ha trascorso in Francia.