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Delega fiscale: prima mossa verso il nuovo Catasto

 
26 GIUGNO 2014

Vani sostituiti dai metri quadri, territori suddivisi per micro-zone e valori patrimoniali aggiornati. Su queste direttrici “viaggerà” l’ambiziosa riforma del Catasto, che senza dubbio, assieme ai 730 precompilati spediti a casa del cittadino, rappresenta uno dei piatti forti nell’ambito della legge delega per la riforma e la semplificazione del Fisco. E proprio sul Catasto verte uno dei primi decreti legislativi approvati la settimana scorsa dal Governo, dando il via a quello che si annuncia essere un percorso di rinnovo assai lungo e complicato. Per la verità più che a una riforma somiglia a una vera e propria “rivoluzione”, visto che di fatto i suoi effetti pratici porteranno allo smantellamento di un sistema vecchio di una ventina d’anni e mai rinnovato. I risultati andrebbero dunque a “resettare” alla radice i valori su cui si basa l’attuale tassazione sugli immobili (Imu e Tasi in primis), ferma restando la regola d'oro dell’invarianza di gettito, di cui si dovrà tener conto nella riconfigurazione dei criteri valutativi. All’atto pratico questo dovrebbe tradursi in un’equa redistribuzione del prelievo fiscale, in maniera tale che ognuno paghi per quello che realmente possiede, anche se l'ammontare complessivo delle entrate dovrà restare lo stesso. Ad ogni modo i tempi, non tanto per l’approvazione della legge, quanto per la messa in pratica della riforma, saranno tutt’altro che brevi: ci vorrà infatti qualche anno prima che venga ultimata la maxi-ricognizione sui 60 milioni di unità immobiliari presenti in Italia.

Prima però di focalizzare quali saranno le novità apportate dalla riforma, è bene chiarire come funzionano oggi le cose. Questo ci porta direttamente alla fine degli anni ‘80 (per la precisione all'87), vale a dire al momento in cui furono introdotti i criteri di stima catastale tutt’oggi in vigore. Accadde in pratica che gli immobili furono valutati non tanto in base al loro valore di mercato, quanto alla loro redditività, cioè in base al potenziale prezzo d’affitto. Oltretutto a quel tempo vigeva la legge del cosiddetto “equo canone”: una regolamentazione “al ribasso” sui contratti di locazione, il cui ammontare non era lasciato alla libera contrattazione delle parti, ma veniva stabilito a priori, in base a determinati parametri che cambiavano a seconda della tipologia di immobile. Risultato: le rendite catastali, a lungo andare, sono rimaste ancorate ai criteri di vent’anni fa, mentre i prezzi di mercato hanno preso a veleggiare col vento in poppa.

Altro dogma che la riforma vorrebbe “sfatare” è quello della rigida classificazione degli immobili in categorie e classi catastali, nonché la suddivisione degli stessi immobili in vani, che oggigiorno rappresentano uno degli elementi utilizzati ai fini del calcolo della cosiddetta rendita catastale, cioè la base di partenza per ottenere il valore imponibile cui saranno applicate le imposte (vedi ad esempio l’Imu, come anche l’Ici in passato). Tanto per capirci il “vano” catastale equivale a una “stanza” la cui ampiezza non può superare i 15/20 mq, e che non dev’essere in nessun modo confusa con le stanze fisiche in cui è effettivamente suddiviso l’appartamento. Anche sul sistema di calcolo dei vani ci sarebbe da scrivere, ma il rischio è quello di addentrarsi troppo nel tecnico: è sufficiente capire che viene considerata “vano” qualunque stanza superiore a un valore minimo che oscilla di solito fra i 7 e i 10 mq, e che possa contenere almeno un letto. Ora, una volta considerate alcune caratteristiche “interne” ed “esterne”, l’immobile viene inquadrato in una certa classe catastale (A6), a sua volta appartenente a una macro categoria (A). A ciascuna di queste classi e categorie sono poi associati determinati valori-base, cioè le cosiddette tariffe d’estimo, che vengono moltiplicate per il numero dei vani: il risultato della moltiplicazione dà appunto la rendita.

Tutto questo sistema è dunque destinato a tramontare con l’avvento della nuova riforma. Una delle chiavi di volta sarà il riferimento alla "bussola" dei valori di mercato. Anzitutto si comincerà col mappare il territorio in micro-zone, dalle quali verrà estrapolato il valore medio di mercato (presumibilmente attraverso l’Osservatorio immobiliare dell’Agenzia del Territorio) per ogni tipologia immobiliare (abitazioni, negozi, uffici, ecc). A questo valore sarà poi associata tutta una serie di coefficienti che verranno prima soppesati sulla base di determinate caratteristiche dell’immobile, e poi inseriti in un algoritmo che restituirà il valore unitario al metro quadro. Le caratteristiche, ad esempio, che serviranno a ottenere questi coefficienti rispondono alla presenza o meno dell’ascensore, all’anno di costruzione, al piano, all’esposizione, all’affaccio, all’impianto di riscaldamento (autonomo o centralizzato) e al complessivo stato di manutenzione. Così facendo, dalla rielaborazione del valore medio di mercato attraverso i suddetti coefficienti, si otterrà un valore rettificato moltiplicato per i metri quadri (non più per i vani) che darà appunto il valore patrimoniale del bene immobile.

In questo senso i Comuni dovrebbero giocare un ruolo fondamentale, anche in funzione di quel progetto già pensato alla metà degli anni 2000, e poi tramontato, che era il “federalismo catastale”, in base al quale gli enti locali avrebbero la responsabilità di constatare direttamente in loco le reali caratteristiche degli immobili, per poi trasferire le informazioni agli archivi centralizzati dell’Agenzia del Territorio. Un ulteriore discorso, infine, andrebbe fatto sulla rivalutazione delle rendite catastali. Anche in questo caso, infatti, il mercato rappresenterà un punto di riferimento imprescindibile. Le nuove rendite, quindi, dovranno essere adeguate sulla base dei valori locativi annui calibrati al metro quadro, ma è ovvio che se l’intenzione è quella di prendere l’anno come orizzonte temporale ci sarà bisogno di un costante lavoro di aggiornamento.

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