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Cedolare secca: sì della Corte se il locatario è un’impresa

 
15 MAGGIO 2024

No problem sulla cedolare secca anche se l’inquilino/conduttore è una partita IVA o un’impresa. L’importante è che non sia il locatore stesso ad agire da impresa. Non è passata inosservata la recente sentenza della Cassazione n. 12395, depositata il 7 maggio, con cui la Suprema Corte ha in buona sostanza ribaltato l’orientamento del tutto opposto dell’Agenzia delle Entrate, ossia quello di invalidare l’opzione sull’imposta forfettaria per gli affitti laddove, sia pur con finalità abitative, il locatore ceda il suo appartamento a un soggetto esercente attività d’impresa o di lavoro autonomo.

La questione nasce dal ricorso che un contribuente – persona fisica – ha intentato contro una sentenza della Ctr della Lombardia per degli avvisi di liquidazione notificati dall’Agenzia delle Entrate a seguito dell’omesso versamento dell’imposta di registro in riferimento a un contratto di locazione stipulato con una società per un immobile abitativo a Milano e destinato al legale rappresentante della detta società; contratto, appunto, per cui il locatore aveva opzionato il regime di cedolare secca, non pagando così le imposte ordinarie.

Alla radice del “no” dell’Agenzia vi è il noto presupposto normativo secondo cui la cedolare secca, in qualità di regime fiscale sostitutivo di IRPEF, addizionali e di tutte le altre imposte ordinarie a corredo dei contratti di affitto, è inapplicabile sulle abitazioni locate nell’esercizio di una attività d’impresa o di arti e professioni. In parole povere, se chi affitta è un’impresa o una società anziché un normale privato possessore di una casa, la cedolare non è ammessa. La ratio, insomma, è quella di un regime agevolativo concepito per coloro i quali, volendo mettere a reddito dei beni immobili che hanno a disposizione, agiscono comunque al di fuori di logiche aziendali e strumentali.

Tornando così alla sentenza della Corte, i togati hanno dunque dato ragione al contribuente che aveva opzionato la cedolare secca cedendo in affitto il suo appartamento a una società, che poi lo aveva messo a disposizione di un suo rappresentante legale, rispettando di fatto il requisito imprescindibile dell’esigenza abitativa alla base della cedolare. Lo stesso locatore, in quanto persona fisica, non agiva nemmeno con finalità d’impresa, locando semplicemente un’abitazione di sua proprietà.

Quello che dunque ha indotto l’Agenzia a invalidare la cedolare, reclamando di conseguenza tutto il resto delle imposte dovute, è il fatto che formalmente dal contratto di affitto risultasse come conduttore (cioè come inquilino in pratica) non il rappresentante legale della società – che infatti ha utilizzato la casa come sua abitazione – ma appunto la società medesima. Ciò è stato sufficiente secondo l’Agenzia per revocare il beneficio della cedolare in nome di quel principio, cui accennavamo, di non applicazione laddove sussistano delle logiche aziendali/strumentali.

Si tratta perciò di una questione meramente interpretativa su cui Agenzia e Cassazione hanno vedute ben diverse. La prima persegue un orientamento più estensivo e intransigente rispetto alla sussistenza di logiche strumentali, presumendola anche nell’ipotesi in cui – come nel caso in esame – il conduttore stesso sia una società e non solo il locatore. Tale visione, per altro, era già stata messa nero su bianco illo tempore (e non immune da critiche) nella Circolare 26/2011 in cui l’Agenzia spiegava appunto che “al fine di valutare i requisiti di accesso al regime”, bisognava tener conto anche dell’attività esercitata dal locatario e dell’utilizzo dell’immobile locato. Di qui l’oggetto del contendere nella sentenza della Ctr lombarda impugnata dal contribuente.

Di contro la Cassazione, nel rigettare quella sentenza, ha adottato un’interpretazione più letterale della norma, l’unica che in effetti sembrerebbe percorribile, visto che il legislatore parla appunto di locazioni “effettuate nell'esercizio di una attività d'impresa, o di arti e professioni”, riferendosi con questo ai possessori, quindi ai locatori che effettuano la locazione di un loro immobile e che dunque ne traggono reddito.

Così facendo la Corte, che fino ad oggi sull’argomento non aveva mai espresso una linea chiara, sebbene negli anni queste tipologie di casi siano spesso cadute oggetto di contenziosi tributari, imprime ora un indirizzo ben preciso che riconduce la norma a quello che con ogni evidenza è il suo reale tenore, ossia un regime fiscale agevolativo concesso ai locatori che in veste di privati affittano un loro immobile, indipendentemente poi da chi sia il locatario (privato, impresa o partita IVA, ecc.), purché l’affitto – questo sì – abbia unicamente uno scopo residenziale.

Luca Napolitano
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