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Cedolare secca: la convenienza fiscale non è scontata

 
06 LUGLIO 2017

La cedolare secca “congela” l’ammontare del canone di locazione da dichiarare nel Modello 730. È questo uno dei capisaldi da cui bisogna partire per spiegare il meccanismo della tassazione agevolata prevista sui contratti d’affitto a scopo abitativo. Com’è noto la cedolare è una scelta facoltativa che sostituisce in blocco il regime fiscale ordinario sui redditi d’affitto, dando l’opportunità di applicare in luogo dell’Irpef, delle addizionali e delle imposte di registro e di bollo due aliquote fisse, una al 21%, nei casi di contratti a canone libero, l’altra al 10% (in origine era del 19 poi è passata al 15 per cento) sui contratti a canone concordato stipulati nei comuni con carenze di disponibilità abitative (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia più i comuni confinanti con gli stessi nonché gli altri capoluogo di provincia) e nei comuni ad alta tensione abitativa (individuati dal Cipe).

Sostanzialmente, scegliendo la cedolare secca, non si fa altro che “separare” dall’imponibile Irpef il reddito annuo percepito con l’affitto, applicandovi appunto l’aliquota del 21 o del 10 per cento. Si tratta comunque di una scorciatoia fiscale meno automatica di quanto sembri e che dunque dev’essere valutata volta per volta in base alla natura dei singoli casi, visto che l’allontanamento del reddito d’affitto dal raggio d’azione dell’Irpef, potrebbe anche causare una situazione di incapienza ai fini di determinate detrazioni (spese mediche, mutui, istruzione, nonché 50 e 65%) che a quel punto potrebbero non essere più godute o magari godute solo in parte (per maggiori informazioni leggi la seconda parte del nostro focus sulla fiscalità degli affitti). Viceversa, facendo confluire il reddito d’affitto nell’imponibile Irpef, le eventuali detrazioni avrebbero un margine d’azione più ampio, essendo l’imposta più alta, e quindi più capiente per contenere tutto lo sconto. Con la cedolare, insomma, si ha comunque diritto ad aliquote più basse rispetto a quella meno salata dell’Irpef (al 23%), ma la limitazione principale è proprio quella cui accennavamo in apertura, vale a dire la sospensione per il locatore della possibilità “di chiedere l’aggiornamento del canone a qualunque titolo (compresi gli aggiornamenti Istat), anche se tale facoltà è prevista nel contratto di locazione” (se hai bisogno di aiuto per la dichiarazione dei redditi contatta il nostro nuovo servizio Il730Online).

Un’altra “fobia” ricorrente è quella che riguarda gli adempimenti successivi alla registrazione di un contratto di locazione con opzione sulla cedolare secca. A posteriori, in realtà, non esiste alcun adempimento, se non con la revoca dell’opzione. Tutto infatti dev’essere concluso a monte, con la raccomandata (obbligatoria) nella quale far presente all’inquilino di voler scegliere il regime opzionale della cedolare, in virtù del quale viene fatta esplicita rinuncia ai futuri aggiornamenti (leggi: innalzamenti) del canone. Dopodiché, una volta registrato il contratto, il locatore non è più tenuto a far niente, se non appunto a revocare l’opzione qualora si accorgesse che la tassazione ordinaria è in realtà più conveniente. Va comunque precisato che la revoca può essere effettuata solo a cavallo delle annualità (al termine dell’una e all’inizio dell’altra) e non all’interno della stessa annualità. Lo stesso principio vale per il “trasferimento” dalla tassazione ordinaria a quella sostitutiva. Non è possibile, ad esempio, fare da gennaio a giugno con la cedolare e poi revocarla per i restanti 6 mesi da luglio a dicembre (o viceversa). Di conseguenza la scelta originaria, qualunque essa sia, resta valida per tutti e 12 i mesi, allo scadere dei quali il locatore avrà la facoltà di cambiare tassazione in un senso o nell’altro.

Altro promemoria fornito dall’Agenzia è quello sulla validità della cedolare secca in relazione alla tipologia di contratto di affitto. Per applicare il regime opzionale è infatti fondamentale che il contratto sia non solo stipulato a fini abitativi (a prescindere dalla sua durata) ma che non sia compreso nell’ambito di un’attività strumentale/commerciale. Detto altrimenti, il privato che affitta la seconda o terza casa a disposizione, potrà sempre applicare la cedolare secca, a meno che l’affittuario non voglia utilizzare quell’immobile per ricavarci uno studio o comunque un luogo adibito all’esercizio della professione. Lo stesso divieto vale per quelle società o aziende che danno in affitto le proprie abitazioni a vantaggio dei dipendenti fuori sede. Anche in questo caso, infatti, pur essendovi uno scopo abitativo, il contesto è comunque quello di un’attività professionale: la società, infatti, mettendo a disposizione i propri immobili, agisce in qualità di soggetto locatore nell’ambito di una più complessa attività strumentale.

Luca Napolitano

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