L’Ivie, vale a dire l’Imposta sul valore degli immobili (dal 2016 solo le seconde case) detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti in Italia, è una delle novità introdotte con la manovra di Monti, esattamente come l’Ivafe, cioè l'imposta applicata sulle attività finanziarie detenute all’estero. Inizialmente, a differenza dell’Imu scattata dal 1° gennaio 2012, l'entrata in vigore dell’Ivie era stata fatta partire dal 2011, con valore quindi retroattivo. Ma con le modifiche introdotte dalla legge di Stabilità 2013, l'applicazione è slittata al 2012, cosicché i versamenti già effettuati per il 2011 sono stati considerati come acconti per l’Ivie 2012. Il prelievo è applicato nella misura dello 0,76%, o 7,6 per mille, “in proporzione – specifica la Circolare 28/E dell’Agenzia delle Entrate – alla quota di proprietà o di altro diritto reale e ai mesi dell’anno nei quali si è protratto tale diritto”. Soggetti alla tassa sono “le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta (e cioè 183 giorni all’anno, 184 negli anni bisestili, ndr) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.
BASE IMPONIBILE – Un dubbio ricorrente col quale non pochi si sono trovati a fare i conti, riguarda la base imponibile su cui calcolare l’importo dovuto. Su questo punto va fatto un distinguo sostanziale. Difatti, normalmente, il valore di riferimento è costituito dal costo risultante dall’atto di acquisto, e in alternativa, qualora il dato non fosse disponibile, dal valore di mercato rilevabile nel luogo in cui si trova l’immobile. C’è poi da considerare l’ipotesi degli immobili non acquistati, bensì direttamente costruiti dai possessori. In quei casi, allora, la base imponibile sarà costituita dal costo complessivo di costruzione. Ora, in deroga a questi principi generali, la regola cambia per gli immobili situati nei Paesi appartenenti all’Unione Europea (UE) e allo Spazio Economico Europeo (SEE), in riferimento ai quali la base imponibile da considerare sarà il valore catastale, oppure, in mancanza di quest'ultimo, il costo d’acquisto o il valore di mercato allo scadere del periodo d’imposta.
CREDITO D’IMPOSTA – A differenza dell’Imu, l’Ivie non è dovuta se l’importo complessivo risultante dal calcolo dello 0,76% – quindi senza tener conto della quota o del periodo di possesso – è pari o inferiore ai 200 euro. Se invece l’imposta complessiva risultasse superiore ai 200 euro, a quel punto andrebbe modulata in proporzione alle variabili della quota e del periodo di possesso. C’è poi un secondo aspetto decisivo: il credito d’imposta cui si ha diritto per le tasse patrimoniali già pagate nello Stato estero dove si trova la casa. Dall’imposta italiana, infatti, va detratto l’importo eventualmente versato, facendo però attenzione a non confondere l’esenzione dei 200 euro con l’eventuale differenza fra il credito d’imposta maturato e la tassa italiana. Cosa vuol dire questo? Immaginando che all’estero un contribuente abbia già pagato 600 euro di tassa patrimoniale e che in Italia l’Ivie ammonti a 800 o 700 euro, questo contribuente sarà comunque tenuto a pagare in Italia 200 o 100 euro. L’esenzione fino a 200 euro, quindi, è da considerare esclusivamente in relazione all’importo risultante “alla radice”, vale a dire sulla base del calcolo vero e proprio dell’imposta italiana, che per non essere pagata dovrebbe appunto risultare pari o inferiore a 200 euro.